Il diritto a migrare ha radici antiche, che si scontrano con la miseria xenofoba del tempo presente.
“Non c’è più né Giudeo né Greco” è una citazione biblica, che qui voglio riportare anche se né le citazioni bibliche né il cristianesimo sembrano oggi di moda.
Dire che non c’è né Giudeo né Greco è dire che non c’è da una parte un’Europa comunitaria e dall’altra un mondo barbarico di extracomunitari; e, di conseguenza, non c’è un’Italia di residenti che non sia anche un’Italia di migranti, di fuggiaschi e di nomadi.
Questa affermazione è, invece, oggi fortemente contestata quando si dice “prima gli italiani” o, peggio, “solo gli italiani“.
Che è poi l’affermazione che disconosce le diseguaglianze e la rivoluzione attuata dal cristianesimo contro la cultura dominante.
Quella che dominava era, difatti, l’antropologia di Aristotele che divideva la società in signori e servi, e i servi erano tali per natura.
Era una diseguaglianza dipendente non da contingenti condizioni economiche e sociali, ma originaria, cui non poteva porsi rimedio per sua stessa essenza.
Per Aristotele si nasceva liberi o schiavi; gli uni per natura superiore comandavano e gli altri per natura inferiore erano comandati. Da una parte vi erano i cittadini (greci) e dall’altra i meteci (i meticci, gli immigrati).
Fu, dunque, quella di Gesù Cristo una grande rivoluzione religiosa e antropologica, che ruppe il muro di separazione tra Giudei e Greci, tra Ebrei e Gentili ed affermò la radicale eguaglianza di tutti gli esseri umani. E con Saulo di Tarso (San Paolo) giunse all’affermazione che c’è eguaglianza tra maschio e femmina, tra barbaro e sciita e tra circoncisi e non circoncisi.
Questa antropologia nuova non è entrata di fatto nella storia successiva.
La cultura della diseguaglianza ontologica fondò e legittimò le società signorili e feudali.
Giustificò la grande e tragica vicenda della colonizzazione dell’America.
Il pensiero aristotelico della diseguaglianza arriverà fino ad Hegel e ai razzismi del Novecento.
Il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli sottolinea come essa abbia fatto scuola sino a Croce.
Il punto di arrivo di questa linea di pensiero è Nietzsche, teorico della società della selezione, secondo cui essere eguali è l’illusione dei deboli; è una grande follia.
Il razzismo ha, pertanto, una copertura filosofica.
Altro che Salvini!
I migranti, compresi quelli di oggi, sono un popolo in cammino. Uomini e donne, bambini ed anziani, in gruppi diversi, affrontano insieme il mare e le rotte terrestri per andare da un Paese all’altro, muovendosi con le stesse motivazioni e condividendo lo stesso destino.
Un popolo, cui viene negato il diritto di esistere, di avere una cittadinanza.
È un popolo che annovera, come tutti gli altri popoli, delinquenti piccoli e grandi, ladri ed assassini.
Gli Stati hanno il diritto di difendersi come si difendono dai “propri” cittadini.
Ma quegli stessi Stati di diritto e di democrazia costituzionale tradiscono se stessi perché accanto a cittadini soggetti di diritto concentrano masse illegali, giuridicamente invisibili e perciò esposte a qualunque vessazione e sfruttamento.
L’Italia, Paese di antica migrazione, sarà capace di approntare norme di diritto internazionale ed interno ispirate all’umanesimo integrale?
Gli attuali legislatori mi inducono al pessimismo, ma non dispero che uomini e donne di buona volontà possano unirsi nel ricordo della Roma, prima potenza mondiale multiculturale e multirazziale.
Roma fu capace di dare al mondo di allora lo “jus gentium”, vale a dire l’insieme di regole valide tra tutti i popoli concettualmente contrapposto allo jus civile proprio di ciascuna civitas.
avv.Biagio Lorusso
pubblicato su “la bilancia”, periodico di cultura e attualità forense, anno XIII n.2/2018